La Terra come dimora - dove stare insieme oltre


1999/2000


Anna Rita Petrungaro

 

Il limite da molteplici punti di vista è uno spazio che per sua natura costituisce il limite dell’accoglienza fra il prima e il dopo del tempo della vita, una dimora terrena per ciò che in fine resta della nostra corporeità: cimitero è etimologicamente luogo del sonno.
Il grembo di cratere di Gabii, per il suo essere da sempre luogo di snodo di confluenze vitali, può ospitare, come già aveva fatto un tempo, ai suoi margini, il segno di quella presenza-assenza, ma anche di quello stare insieme oltre che nutre la nostra illusione di un rapporto possibile ancora. Quel grembo craterico, col suo orlo di martoriati e scavati peperini (il prelievo della famosa pietra di Gabii ha cancellato le vestigia di possibili siti urbani) può essere un corpo di un gran serpente marginante la coppa stessa. E quel serpente, la cui testa é pesante di insensata moderna lottizzazione, come nel mito, s’avvolge propiziando l’eterno ritorno del tempo vitale, del Gran Tempo certo, ma anche della resurrezione - metamorfosi.
Sull’orlo della caldera, nel corpo di quel serpente, vengono aperte tre palpitanti strutture ad andamento lineare, ove trovano posto i corpi sepolti ad inumazione. Ma quegli scavi ipogei respirano in sale ipostile, in centrici invasi di terra, ove penetri anche dall’alto e la luce e l’acqua e l’aria che in simbiosi concorrano alla magica trasformazione, e conservando la forma degli antichi reiteratamente propone in tante concatenate figure l’ineludibile connessione fra lo spazio dinamico lineare e la concavità nutrita. E quelle strutture ad andamento lineare, che respirano dentro il gran Corpo, sono poste dove da sempre la Madre conformò se stessa all’accoglienza, trasversalmente all’andamento dell’orlo craterico, ov’esso si porge a oriente al sole che sorge con le naturali insenature della morfologia, dove far nascere i luoghi escavati, magicamente, naturalmente, così che rispondano a momenti notevoli dell’apparente percorso dell’astro nel cielo ad est e nord/est, ove furono colte le proiezioni azimutali di quel corso, alle albe dell’equinozio di primavera, del solstizio d’estate e del 21 agosto (giorno, secondo il nostro calendario Gregoriano, dedicato a San Cristoforo).
Anche gli antichi usavano, oh! con quanta attenzione, indurre la rigenerazione nei sepolcri (come insegna la moderna archeoastronomia) di quei morti venerati, ponendoli nel corpo della Madre aperta ad accogliere il potere procreante del Sole, in una infinita congiunzione cosmica. E quel corrispondere dell’insenatura a quel di’ di San Cristoforo, che la tradizione cristiana vede come gigante traghettatore d’anime verso l’Empireo, corrispondente in antico a quell’Anubi/Ermes che riguadagnava alla vita immortale chi avesse oltrepassato la soglia, si porge naturalmente alla formazione figurale del progetto: il punto, non fu ricercato si dette, s’offerse. E tutta l’articolazione spaziale delle tre strutture lineari é quale il raggio del sole che scorre nel cielo ed é conformata così da seguire ed accogliere, nel Gran Ventre, la forza vivificante, tale da offrire nei reconditi luoghi amorosi giacigli ai morti, tale da indurre nei vivi non solo caritatevole misericordia per quei morti, ma l’ineludibile necessità a soffermarsi, fino a sognarli forse, un poco aquetati anch’essi e resi permeabili agli affetti, sdraiati nei predisposti cubicula, resi umanamente più attivi nella tranquillità del sonno.
Nel grande quadro della macro centralità del Vulcano dalle tante bocche, ove nulla dell’antico paesaggio avrebbe insinuato mai il sospetto di una morta staticità, la facies della materia, che da tanta energia fu generata, non può che essere riportata alla caotica dinamica sua figura primigenia, dal fuoco trasmutata: il fondo che fu d’acque, fu connotato da imbrigliate e prosciugate sorgenti per dar spazio a stereometrici coltivi, atti ad agricoli prelievi, può essere rigenerato attraverso una magmatica possibile fisionomia; e le acque ridiventano chiari aperti, abitati da anfibi, da uccelli (il conosciuto Porciglione anche?) e le sorgenti ridiventino luoghi sacri come un tempo sapevano gli antichi, e la vegetazione sia quella propria alle zone umide, nel fondo, e pioppi e salici e la vimine e salga via via il ciglio del cratere, anche ritrovando quella lontana specie della Zelkova, i cui pollini fossili moderne ricerche hanno individuato, sepolti da millenni, localmente estinta, e questa, (la terra lo conferma conservandone la prova nel corpo) tanto più rigogliosa si mostrava tanto più la terra fosse stata da presso al sole. Si ritrova ora viva sull’orlo di crateri di Sicilia sud/orientale, ove migrarono nell’età del Bronzo quei Siculi di cui s’é fatta prima menzione. Forse nelle bisacce portarono prigionieri, più o meno consapevolmente, semi di quella antica pianta, (altri la dice già estinta al tempo di Gabii). Per situazioni climatiche, qualità di terre, si ritrova ora relitta proprio in quei luoghi ove migrarono quelle stesse genti (come lo stesso Tucidite afferma). E nei luoghi delle sorgenti nel cratere torna a brillare l’acqua rinascendo dal profondo e qui, raggiunto dal percorso che un tempo fu del canale di prosciugamento, si avvolge il luogo del culto, segnando uno dei molteplici centri generati dalla perdita di un solo centro. Le dinamiche sono di nuovo in atto. Ma ogni centro sacro, é centro dell’Universo e l’albero, il Platano, segno di quel centro come anche fu nei templi del culto antico di Giunone e di Diana Nemorense, é posto a conferma.
Partendo dai luoghi che furono anticamente quelli propri ai sepolcri dell’Osa, percorrono gli uomini quella via per consegnare il loro caro, attraverso il rito, diversamente religiosamente connessi all’aldilà, ai processi di trasmutazione e alle metamorfosi vitali, ognuno reclamando per sé (come un dì cantò il Foscolo) un luogo ove possa coltivare la dolce illusione di un rapporto diretto col defunto, ove la riconoscibilità della materia residuale faccia dimenticare un poco la negazione dell’esserci. E dal luogo poi, compiuto il rito, si espanda, verso l’articolazione costruita delle falde del cratere, ove precipite la materia espulsa dallo scavo nei processi di formazione delle strutture lineari trasversali, contribuisce a costruire alti muri continui, luoghi di sosta innanzi alla giacitura delle tombe a solco. La riconoscibilità della postura vince ove la metamorfosi lenta é in atto. Più a monte l’orlo interno del cratere é solcato da percorribili vie, ove trovano spazio; e i resti che il fuoco immediatamente rese polvere e quelli che il tempo articolò in materia via via sempre più altra. E da percorsi esterni al cratere snodantisi a nord di questo ogni volta che ognuno voglia direttamente penetrare entro le formazioni lineari ed anche lungo l’orlo modellato interno, potrà farlo all’ombra di grandi pini che con ritmo costante già segnano lo scorrere della preesistente via di Poli. Connotato dal segno della via antica, solo, aperto completamente al cielo, protetto dalle spalle della roccia vulcanica, corre il cammino che antichissimo, risalente al Bronzo, alfine taglia il cratere a sud-ovest, idealmente ricongiungendosi a quel segno che fu interpretato come cardo di una possibile, ormai interamente scomparsa formazione urbana.
Appartenendo alla terra, lo spazio palpita nel tempo, mai rimanendo uguale a se stesso, nelle viscere ancora percorso dal fuoco rituale che arde, continuativamente puntiforme, nel luogo del rito, all’aperto, presso la sorgente. Le materie proprie alla terra, plasmate con millenarie sapienze in forma di colorate ceramiche, ornano ove l’acqua e la luce, volta a volta penetrando, segnano la Terra lungo tutto il corso del tempo.
..”Quando l’alba esplose sui miei occhi spalancati sognai l’ultimo sogno prima di risvegliarmi alla terra. Nell’aria dorata si levò la tua bella forma e fuse la mia anima con la luce, per farla nascere. Per un attimo son vissuto come un respiro appena nato fresco come quello delle silfidi senz’anima, davanti ai fuochi dell’inverno il mio dubbio è morto di una morte che mi ha lasciato negli occhi fantasmi inghirlandati di cielo...