Energie
dal profondo, Aventino: l’intervento del mito nel contemporaneo
2001/2002
Barbara Berta
Tre milioni di anni fa, nel Pliocene, l’area romana era sotto il
mare, era piattaforma carbonatica con impilato già dietro vers
o est il sistema degli Appennini. E poi cominciò ad emergere, per
orogenesi, la piattaforma, ricoperta dai sedimenti lasciati dalle acque.
Non fu più solo l’isola dei Cornicolani e, né quella
del Soratte. L’emersione la puoi trovare negli stessi sedimenti
argillosi e sabbiosi o anche affioranti, se tagli le terre a Monte Mario,
a Ponte Galeria, con i molluschi fossili e le conchiglie che furono nel
mare, a testimoni.
Fu variazione anche di livello, ingressione e regressione, del mare poi,
dovuta alla grandi glaciazioni fin dal Pleistocene Medio.
E i corsi d’acqua erosero profondamente la terra. Scavando incisioni
colmate poi dai sedimenti dei fiumi stessi. In prima fase Il Tevere ampiamente
si diramava intanto con paleo, ampia facies verso ovest (Paleotevere 1);
e poi ancora, per tettonica spinta, mutando completamente il suo corso,
verso est (Paleotevere 2).
Scavi e colmate di sedimenti fluviali. E il mare si ritirava e tornava
ad invadere. E poi ecco, seicentomila anni fa, verso est, il cratere del
Vulcano Albano, in coincidenza sempre col regredire del mare, nei vari
cicli delle fasi, emise tufi e lave. È il gran cratere tuscolano-artemisio
appunto, che esplose colate piroclastiche ampie, fino al fiume, dense
unità di flusso ignimbritico di tufo litoide e tufo detto di Villa
Senni. Sono quelle che principalmente ritroviamo in riva sinistra verso
il sito della Città presso il centro di Roma.
E le valli furono colmate fino a formare uno spesso strato conforme dato
dalle ripetute emissioni. Fu poi ancora profondamente inciso, il manto,
dalle valli alluvionali formate da acque minerali sgorganti dal profondo
e dal livello del mare che andava e risaliva. Il corso del Tevere catturato
diviene quello attuale, con i siti del respiro palustre conosciuto, il
Velabro, la Valle Murcia. Ma sopra i rilievi dei tufi invece, il mare
che ritorna lascia che i tufi stessi rimangano al di sotto, e sopra stende
ancora una coltre di sedimenti fino a quaranta metri sopra il suo livello.
Le articolazioni delle colline centrali sulla riva sinistra, quelle di
prima formazione d’insediamento, quelle del sito Saturnio (Campidoglio),
del Cermalo/Palatino, dell’Aventino, sono proprio quelle coperte
dalla formazione limoso-argillosa detta Aurelia. La puoi vedere spessa,
gialla, sopra il rosso tufo lionato nella rupe Tarpea del Campidoglio,
puoi ritrovarla nascosta entro il corpo scavato dell’Aventino, in
contatto con i tufi, ricoperta dall’incoerenza della coltre dei
riporti artificiali. Ma la terrazza è superficie pianeggiante,
mentre il rilievo precipita con una netta scarpata verso il fiume. È
diverso e articolato il corpo della Madre.
Prima Giano, il dio autoctono, caotico dal sesso indistinto, regnante
sul Gianicolo, concesse a Saturno, il dio straniero che veniva da lontano
lungo il Tuscus Amnis, la collina del Campidoglio posta sul Velabro in
riva sinistra. E quegli divenne il signore di Saturnia, da lui fondata,
mitico re divino. Saturnia era sulla palude, e lì scomparve poi
risucchiato dal suo essere degli inferi dei. Alla sua Età appartiene
il re Siculo, figlio di quel Vulcano-Fuoco che forse congiunto è
nel nome e nell’essenza alla drammatica espressione della Terra.
Lì visse quello facendo di Saturnia la sua residenza fino a quando,
spinto dagli Aborigeni, andò verso il Meridione, una prima volta,
migrando. Ancora, nonostante ciò, a lungo i Siculi rimasero nei
siti presso l’approdo del Tevere primario. Irrimediabilmente si
conferma la preminenza della riva sinistra per il germe di Roma.
La Madre che canta (Carmenta), la Madre delle acque, come la Luna in cielo
le governa, qui trova il suo sito terreno, ed è importante.
Si confermerà la Triplice presenza nei siti densi.
Ma ormai, l’insediamento già quasi si estende verso il Palatino
Colle più a sud, oltre il Velabro, e l’Aventino, scoglio
emergente oltre la Murcia Palus. Trarrà il nome, per molti misterioso,
da un Aborigeno tra quelle genti venute dopo, dal Reatino.
Appare la formazione della grande Saturnia progenitrice. È il Bronzo
recente.
Intorno al Fiume e alle paludi si attestano dunque i tre Monti con gli
approdi, in riva sinistra. E quello dell’Aventino è presso
il guado, il primo dopo quello molto più a nord, di Fidene. E presso
questo sorgerà il primo ponte, per mano di Ercole, si dice, detto
Sublicio.
L’insediamento ormai è complesso; è sui colli e alle
pendici di questi intorno alle paludi. L’Arce, traslata da Saturnia,
ormai sul Cermalo/Palatino, è quella dominante. E il Palatino si
volge all’Aventino, fa sistema e si collega con arcaici percorsi.
Signore di tutto questo mondo è il mitico mostro Caco dei Siculi
(Bronzo Recente 1200 a. C.); il sovrano governa sui colli, sulle paludi
e sugli approdi, sui siti dell’arrivo del sale, dalle captazioni
presso il mare alle foci del fiume, risalito lungo il percorso che sarà
la via Campana scorrente in riva destra e, trasportato sotto l’Aventino,
qui ammucchiato. E Caco governa sui siti anche dello scambio delle greggi
(questo sarà il Foro Boario poi). È, come si disse, figlio
di Vulcano, conosce quindi la lavorazione di materie forgiate e ci dice,
col Mito, di queste terre coi crateri reali, quelli degli Albani che diedero
i tufi dei Colli e poi le lave.
E Caco quindi che alla base dell’Aventino governa le energie degli
scambi, a raccontare la predominanza del sito al piede del Colle dai primordi,
munito di approdo, ma anche di grotte scavate nel profondo, riparo delle
greggi che governa.
Fauna la Lupa, che abita il Lupercale ai piedi del Palatino presso il
Fico Ruminale, ma anche, sdoppiata, Fauna Murcia, ai piedi dell’Aventino,
portarici di mammelle liquide, le rume delle valli palustri, formate dai
movimenti sinuosi del Fiume che si allargano in acque ferme, genera con
Marte i Gemelli fatali.
Così il fico del Lupercale e il mirto dell’Aventino sono
nel paesaggio, vegetazione propizia al concepimento e alla lievitazione,
poteri vegetazionali generatori di genti e insediamenti.
E così Fauna e Fauna, presiedendo, fin dai primordi, come lupe
la selva, organizzatrici di branco con Fauno (ma anche ferigne cretaure)
promuveranno, nei siti al limite del fiume e intorno alle paludi, nei
boschi sacri (Luci) incontaminati, l’avvento del Nemus, il bosco
circondante i luoghi di accumulazione e di incontro di genti.
I siti non più selvaggi ma organizzati. E fu di questi, forse,
quel Pagus Aventinus che si formò al tempo dei pagi della seconda
fase del sito che sarà di Roma.
I primi popoli di questi, i Latinienses, avevano la loro Rocca sul Collis
Latiaris e al Quirinale i loro pagi. I Veientes con l’Arce sulla
Velia, avevano i loro sul Palatium e sul Cermalus, coinvolgendo l’Aventino.
E la nominazione dei loro siti li confermava Aborigeni/Pelasgi venuti
dal Reatino, come del resto Pico e Fauno, progenitori mitici.
E furino i primi ad avere lì, all’Aventino, il loro approdo,
il luogo di scambio e l’arrivo del collegamento arcaico al territorio
che sarà poi la via Ardeatina. Come al Cermalo-Palatino fu l’altro
approdo e il terminale del percorso arcaico che sarà poi la via
Appia.
Fu poi anche il tempo del passaggio dalla divinazione oracolare legata
al canto, ove Pico e Fauna e Fauno e Carmenta sentivano gli eventi, a
quella dell’interpretazione del volo degli uccelli. E qui sull’Aventino
fu il sito proprio degli Auguralia per le fatali osservazioni di fondazione,
propizie a Romolo. Per questo molti lo dicono il Monte degli Uccelli,
quelli che dal mare risalivano il Tevere volando, segnando il destino.
Il Colle fu però escluso dal Pomerio, recinto sacro di fondazione;
rimase misteriosamente isolato, ricco di boschi (luci) sacri con mirti,
lecci, allori e di misteriche presenze; la sommità restò
a lungo preclusa, come le pendici furono dense di formazioni di arcaici
insediamenti.
Nell’Età Regia, quella ormai dopo Romolo, nel VI sec a.C.
fu con Servio Tullio che il santuario di Diana Nemorense, situato lontano,
all’orlo del Lago d’uno dei crateri dell’ultima manifestazione
dei Vulcani Albani, fu qui tradotto, al centro d’uno dei luci sacri,
posto a nord sulla sommità del Colle, divenendo questo sede federale
delle popolazioni latine. E vi si saliva percorrendo il Vicus Publicius
(prima via pavimentata) dalla Valle Murcia, dal porto Tiberino ormai,
e dal Campo Boario fino al Tempio della Triplice Dea, Artemide/Diana,
distributrice d’acqua (da ard-themis), come Luna, la Grande Madre
degli antichi.
E il Vicus Publicius poi scendeva, e ancora oggi lo troviamo come via
di Santa Prisca, verso Sud-Est, alla porta Raudusculana (Piazza Albania)
delle Mura Serviane. E dal Vicus si diramava, proprio sotto il Tempio
di Diana, percorrendo in direzione Sud-Ovest il Colle, il Vicus Armilustris
(cosiddetto perché raggiungeva il Tempio ove venivano purificate
le armi e che sorgeva un tempo dopo Santa Sabina, dopo Sant’Alessio
e prima dei possedimenti dei Cavalieri di Malta). Si inoltrava nel Lauretus
Maior, vasto bosco, discendendo poi a Valle incontro all’arcaico
percorso che, provenendo dai territori lacustri di Lauretum, ad Est sul
Mar Tirreno, saliva per la Porta Lavernalis ad un’ara dedicata all’antica
Dea Laverna che regnava sugli inferi.
Accanto al Tempio di Diana fu poi innalzato un Tempio a Minerva, mentre
sul ciglio del Colle verso il Fiume, ne fu innalzato uno a Giunone, governato
dai serpenti oracolari dell’Ordalia che, come in quello arcaico
di Lanuvio, vigilavano sulla verginità delle giovani fanciulle.
L’Antica Madre, Eurinome un tempo, come la stessa Tritonide Minerva,
, portatrice dell’egida col serpente; dea del Cielo, delle acque
e dei mutamenti, governando i cicli vitali, fu quindi Iside Regina, e
a lei pure si addicono i serpenti poiché regna anche sul mondo
ctonio e governa la rigenerazione come ci narra anche Apuleio nei misteri
dell’Asino d’Oro. Come è anche Iside Regina, sempre
la stessa Madre, il cui culto antichissimo preegizio, fu importato al
tempo dell’Impero, lo dice l’Iseo a lei dedicato che si trova,
celato nella rupe, nei pressi di Santa Sabina. A lei si addicono i serpenti,
poiché regna anche sul Mondo Ctonio.
Del convergere di genti, plebee e patrizie, latine, etrusche e sabine
ed altre ancora, fu ricco il Colle, ove più d’altri siti
fu verificata la ????? romana. A convergere non furono solo molte genti
ma molti culti. È il Colle delle Madri anche in epoca cristiana,
il sito delle donne, poiché, presso le loro magioni, si promosse
e difese il culto minacciato e furono queste le Domus Ecclesiae, come
quelle di Prisca e di Sabina e di Melania e di Albina, a cui anche la
toponomastica si ispira e la nominazione dà ragione e segno dei
reali presidi.
E fu Colle delle acque. Una sorgente posta a limitare del Colle verso
il Tevere ove è ora la terrazza detta del Giardino degli Aranci,
venne chiamata fonte di Pico, il mitico progenitore e la nomina Ovidio
e ne trovammo tracce fin verso il ‘700 nei corpi cavernosi dell’Aventino
ove scorrevano i rivoli d’acqua ormai perduti. Apparteneva al complesso
idro-geologico dei depositi pleistocenici, fra le più antiche stratificazioni.
Alle acque di queste copiose sorgenti si deve la localizzazione e lo sviluppo
dei primi nuclei abitati (sparse per i colli di Roma), e fu a queste acque
che la città si affidò fino alla costruzione degli acquedotti.
Furono poi gli acquedotti Appio e Marcio, finquì tradotti, a servire
con abbondanza di acque le Terme che anche furono costruite sull’Aventino,
le Deciane, Il Balneum Surae, a testimoniare come nel tempo, ricche Domus
patrizie, dense di orti e giardini, avevano sostituito le case della plebe
abitate da quelli che prestavano la loro opera al Campo Boario e agli
approdi.
È però anche il colle dell’accumulo ingente di detriti,
poiché con le distruzioni di Alarico del V sec. d. C. e poi con
altre successive, la complessità residenziale fu obliterata e divenne
sedimento relitto. Ce lo documentano le sezioni costruite, sulle moderne
introspezioni, che restituiscono la consistenza degli strati geologici
naturali e mostrano l’ultimo strato verso l’alto, costituito
dall’ammasso dei detriti appunto, precipitati a volte, attraverso
cavità verticali, ai livelli più bassi.
Fu il Colle, dopo le Domus Ecclesiae, delle chiese antiche, costruite
su quelle come nucleo, ed altre ancora, con ampi monasteri, di matrice
e culto latini e greci, dovuti al convenire di ampi afflussi di genti
convenute da Levante per persecuzioni politico-religiose. L’organizzazione
della Corte di Bisanzio sul Palatino, il ripristino dell’importanza
degli approdi in riva sinistra, fecero ancora dell’Aventino un rinnovellato
sito residenziale abitato dai funzionari di quella corte e ciò
fino circa all’XI sec. d. C. E poi fu il sopravvento delle strutture
conventuali.
A occidente del Colle, sul Tevere, cominciò a formarsi una grande
nuova struttura. Il nucleo primigenio fu una piccola chiesa innalzata
a Maria, la cui immagine fu misteriosamente ritrovata. L’Aventino
alla base era denso di precipiti reperti riferibili agli antichi Horrea
e agli Emporia del Testaccio e da lì fu impostata una via in salita
che guadagnasse l’alto e portasse alla Cappella. Era un sito, per
sua natura, di controllo del Fiume e delle genti che pellegrine andavano
fra le basiliche di San Paolo e San Pietro. E fu il sito quindi di localizzazione
di un complesso processo di fortificazione e residenza che nel tempo lo
portò ad essere la ben munita sede dei Cavalieri del Tempio di
Gerusalemme, dei Templari, misteriosi governatori dei luoghi di passaggio.
Era un ganglio, il sito alto, che presiedeva le dinamiche d’accesso
sia attraverso l’acqua a risalita dal mare lungo il Tevere, che
di terra, dalla via Ostiense, girata al fiume per la via Marmorata, e
dall’altra banda, all’approdo di Ripa Grande, la Portuense,
antica via del sale.
È il Colle anche di fortificazioni, quindi. Infatti sempre sul
lato Ovest, sul Fiume ma verso il nord, si consolidò il Castello
dei Crescenzi che poi passò ai Savelli e divenne sede pontificia
con Cencio Savelli, papà Onorio III, configurata in Castrum Sabelli.
E da qui nel 1200 ebbero conferma le regole di Francesco e di Domenico.
Innescato il processo saldamente, altri presidi sorsero numerosi, attestandosi
dove relitto era rimasto ciò che nel tempo si era conservato dell’antica
vestigia delle Terme. Sorse poi la fortificazione, a presidiare del Barbarossa
il possibile assalto, nel XVI sec. progettata da Antonio da San Gallo
sul tracciato delle antiche Mura Serviane, mai completata però,
di cui si vede ancora oggi un bastione angolare sull’alto dalla
Via Marmorata.
Oramai da tempo i Cavalieri Templari, tragicamente conculcato l’Ordine
dal Papa Clemente V e dall’Imperatore di Francia, Filippo il Bello,
all’inizio del 1300, erano finiti sul rogo, accusati di eresia,
o dispersi misteriosamente per il mondo; non governavano più quel
Colle che era stato ganglio della vasta rete dei presidi templari delle
vie. I loro beni immobili, anche il Colle, passeranno agli Ospedalieri
di San Giovanni di Gerusalemme, infine i Cavalieri di Rodi, poi di Malta,
che ancora sono qui presenti e a cui si deve la promozione del riassetto
del complesso dell’insediamento dell’Ordine, commissionato
a metà del ‘700 al Piranesi. Ed è qui che l’architetto
veneziano ha lasciato la sola testimonianza realizzata delle sue capacità
progettuali. È qui, nella Chiesa di Santa Maria del Priorato, particolarmente
sull’altare principale, e nelle complesse decorazioni sulla facciata
della chiesa stessa, e nella piazza del complesso, che egli ha profuso
messaggi esoterici nascosti trasmessi nel tempo, eredità dai Cavalieri.
Bisogna decriptare i segni dell’iconografia. Perché sull’altare
principale, l’Agnello, simbolo di Giovanni Battista, governa la
scultura complessa, ove compare l’Universo/Mondo a tutto tondo.
Giovanni Battista (forse alternativa figura di Messia a quella del Cristo?)
è patrono dei Templari e venerato anche dai Cavalieri di Malta,
i cui gran maestri quasi sempre hanno il nome di Giovanni. E quel Giovanni,
perché tanto spesso è nascosto, scambiato con l’Evangelista
la cui immagine, dipinta da Piero da Cosimo nel XIV sec., appare associata
con una Sacra Coppa da cui si alza un serpente.
“…e come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così deve essere innalzato il Figlio dell’Uomo” lascia
scritto nel suo Vangelo. E Giovanni è associato attraverso il tempo
alla figura dell’Antico Ercole, eroe civilizzatore che liberò
i siti dei primordi di Roma dal siculo Caco, uccidendolo. E anche egli
associato a serpenti che, mandati dalla Dea Era, uccise da bambino e poi
debellò ancora come Hidra dalle molte teste, in una delle famose
Dodici Fatiche. Ma è dei serpenti attorcigliati intorno al suo
bastone, ancora quell’Asclepio greco, figlio d’Apollo, che
ha sede anche all’Isola Tiberina. Allevato dal centauro Chirone
possedeva i misteri della medicina e da moro fu trasformato in cielo nella
Costellazione del Serpentario. È ancora saldamente associabile
alla rappresentata funzione dei Cavalieri di Malta.
Serpenti che strisciano spesso come esoterica icona nella figurazione
simbolica profusa dal Piranesi internamente alla Chiesa di Santa Maria
e sulla facciata. Cosa dire poi dell’associazione possibile con
un’altra Maria, la Maddalena di Betania, il cui vero ruolo, nella
storia del Cristianesimo, è celato ma la cui corrispondenza come
Pistis Sophia (Sapienza Antica) alla dea Iside Egizia dei serpenti ctoni,
è conosciuta. Ella infatti ne era, minimamente, la Sacerdotessa.
Il progetto architettonico è uno dei luoghi della macro-testata
della grande direttrice territoriale trasversale che va dal Vulcano Albano
al Tevere. Nella sua articolazione fisiognomica si allaccia prepotentemente
al senso dei siti proponendo una figura che, all’interno di un linguaggio
contemporaneo, esplicita le narrazioni che fanno del Mito del Serpente,
il fondamento del tessuto iconico che, reiteratamente, possiede il Colle.
Anche l’Acqua è componente essenziale del progetto poiché
propria alla presenza antica del Tempio di Artemide (la Grande Madre portatrice
d’acqua), alla antica Fonte di Pico, ormai perduta, e ai lacerti
degli Acquedotti e Terme.
La tensione progettuale nei confronti delle linfa vitale si lega dunque
al Mito (Artemide) ma anche alla reale presenza sia come sorgente naturale
dell’elemento sia come struttura artificiale che la conduce così
sorprendentemente in alto, sul Colle.
Le figure del Serpente devono consentire una connessione, sia figurativa
che reale, tra il Fiume e il Monte e la loro articolazione prevede una
forte emersione spaziale oltre la Rupe e un più minuto svolgimento
nello scavo delle terre nel corpo della Rupe stessa.
La grandi fisionomie della parte emergente della struttura sono conformate
sul segno figurativo-mitologico (i Serpenti), per riattivare in maniera
significativa l’apporto vitale dell’elemento acqua e le connessioni
degli attraversamenti e delle percorribilità trasversali.
Inoltre doveva essere presa in considerazione una esigenza strutturale:
tenere, bloccare, lo sfaldamento della rupe dell’Aventino davanti
al Fiume. La stratigrafia del colle non è, infatti, completamente
coerente e numerosi sono stati gli sfaldamenti verso il Fiume durante
i secoli. Anche l’iconografia antica ci mostra spesso il Colle denso
di sostruzioni murarie. Altra problematica da dover affrontare era il
rapporto con la grande linea dinamica artificiale del Lungotevere. La
sua costruzione, come sappiamo, ha alterato profondamente i rapporti spaziali
tra la Città e il Fiume. Essendo impensabile una sua obliterazione
completa si è deciso di scavare al di sotto dell’attuale
quota della strada che in questo modo diventa un piano sorretto da un
sistema di archi piranesiani che travalicano il piano stradale nella direzione
del Fiume. Si viene a creare un sistema complesso che prevede una doppia
articolazione di percorrenza: una pedonale (a sua volta doppia), l’altra
carrabile. Da via Marmorata fino ad arrivare al sito delle antiche Saline
alla fine del Colle, l’attuale quota del Lungotevere, trasformato
in piano dal progetto, diviene scorrimento pedonale che passa al di sopra
e al di sotto dei due grandi sistemi spaziali, i cosiddetti serpenti.
Un altro scorrimento pedonale, che viene definito ad una quota inferiore,
passante al di sotto di una parte dell’arco più prossimo
al Fiume, si attesta sulla prima macro-struttura trasversale, imponendo
un cambiamento di rotta e di livello. Parzialmente al di sotto di questo
secondo scorrimento pedonale si snoda il percorso carrabile che, trovandosi
compreso tra lo scavo artificiale di una cisterna lineare (linea di confine
tra il Colle e la sua base verso il Fiume) e lo stesso percorso pedonale,
risulta trovarsi quasi in trincea e quindi posto in secondo piano rispetto
agli scorrimenti vitali del luogo.
Percorrendo i due sistemi pedonali si incontrano i due grandi segni trasversali,
due imponenti macro-strutture che intercettano i flussi e li ridristibuiscono
su livelli differenti. Procedendo verso nord il primo Serpente passa al
di sotto del piano dell’ex Lungotevere, si insinua tra due sistemi
di archi e termina affacciandosi direttamente sul Fiume attraverso un
grande aggetto. Costituisce una sorta di terminale delle percorrenze alla
quota più bassa poiché una volta raggiunto da entrambe le
direzioni si è obbligati, per proseguire, ad entrare e risalire
al livello superiore (ex Lungotevere) grazie ad un sistema di scalinate
contenute all’interno della struttura. L’altro Serpente invece
sfrutta il piano per potersi appoggiare e andare a sbalzo sul Tevere,
lo stesso piano su sui si sviluppa Il secondo flusso pedonale longitudinale
che può, questa volta, condurre nelle viscere dell’Aventino
(la figura del Serpente prosegue insinuandosi e scavando le terre) per
poi riuscire in superficie sulla sommità del Monte. Ora il sistema
di scale e rampe per la risalita è molto più complesso e
crea una sorta di continuità spaziale tra l’affaccio sul
Fiume, a valle, e lo spazio compreso tra il complesso di Sant’Alessio
e il complesso di Santa Sabina, a monte.
Questi due grandi segni trasversali, memori delle sostruzioni più
o meno recenti (l’ultima quella del Valadier) che hanno tentato
di impedire lo sfaldamento del Colle verso il fiume, sono pensati per
assecondare questa funzione specifica ma poi declinano verso complesse
strutture spaziali che si allungano tentando, attraverso lo stramento
della fisionomia, di ripristinare l’antico rapporto tra la valle
del Tevere e i suoi margini che nel caso dell’Aventino, s’innalzano
in maniera repentina.
Da un punto di vista strutturale si tratta di due grandi travi che hanno
un incastro nella parte tufacea per poi appoggiare in due punti e concludere
con un grande sbalzo verso il Fiume. La loro fisionomia si deve all’estrusione
nello spazio (che non avviene mai secondo assi verticali) di sezioni,
di forma quasi trapezioedale, che variano nella loro ampiezza: si ottengono
così dei conci uniti tra loro, un po’ come avviene nei ponti
a elementi prefabbricati, che vanno a formare un’unica struttura
dove i singoli pezzi sono ben riconoscibili. Chiaramente il pensiero sulla
fisionomia complessiva governa le modalità dei processi di estrusione:
l’idea di far muovere queste due grandi strutture una sopra, l’altra
sotto il piano del Lungotevere, è alla base della composizione
dei conci nello spazio. Le sezioni sono state pensate in maniera tale
da assicurare la presenza, sul lato, di una parte aperta ma autonoma,
in grado di raccogliere le acque e ridistribuirle, a seconda delle esigenze,
verso la cisterna interna o verso il Tevere. La rigidezza strutturale
è garantita da una struttura interna in acciaio che tiene insieme
gli elementi e consente la complessa articolazione spaziale. Una scocca
di materiale leggero si aggancia a questa struttura facendo virare l’immagine
complessiva verso una leggerezza quasi inimmaginabile rispetto alla mole
delle due grandi strutture. La parte terminale di questa scocca, la pelle
di questi due grandi Serpenti è traslucida, semitrasparente: fa
intravedere quello che c’è al suo interno ma non lo denuncia
palesemente, tranne nelle ore notturne quando l’illuminazione artificiale
interna li fa diventare due grandi segni luminosi per la città.
Alcune bucature, quasi delle ferite, si aprono a lacerare la continuità
della scocca leggera: consentono alla luce naturale di filtrare all’interno
e allo stesso tempo aprono squarci verso l’esterno.
La fisionomia del Serpente poi, connota lo svolgersi, sul Colle, di un’altra
struttura, molto più leggera, che tocca i siti propri alla Dea,
definendo un’altra cisterna lineare, per la raccolta delle acque
meteoriche, fino al sito dell’antica Fonte di Pico, ove diventa
una possibile cascata precipite.
Il Colle appartiene dunque all’Icona Simbolica del Serpente che
ne tramanda i miti complessi alla radice della sua storia e alla presenza
di boschi sacri e di mille acque. Il suo Paesaggio non può che
coglierne fortemente la figura in una fisionomia contemporanea. |