Emersione di presenze spaziali dal piede del vulcano al fiume: esplicitazione energetica di contatto tra i tufi e le argille

2001/2002


Carlo Tralongo

 

II Caos Giano era sul colle sulla riva destra del fiume e la ninfa era Gamese, ella era della palude, ed era l’infinito, e dall’altra parte sul colle del Campidoglio poi fu Saturnia, quand’egli aprì al tempo, e la gente era forse coeva di quei costruttori di torri che tutto il mare governavano, anch’esso Tirreno, e Saturnia era tutta I’Athalia; e le gran torri erano proprie da molto prima alla terra degli abitatori Shardana come grandi, imponenti nuraghe„ cisterne di acqua sacre alla dea che si specchia, torna, triplice nel ciclo lunare del tempo. Poi fortezze, poi complessi impianti connessi. Ai piedi di quel colle saturnio, nella palude, era Carmenta la dea, sempre la Grande Madre, al caso quella d’Evandro che dall’Arcadia boscosa aveva portato sul colle contiguo del Palatino il simulacro della dea Athena che prima da nera aveva “trascorso nel mito nella palude Tritonide libica, patria di guerriere Amazzoni che poi cacciate, avrebbero a Lemno trovato rifugio, e a Lemno si chiama Mirina e i toponomi lo dicono ancora. La dea ricca di frutti, forse anche la corrispondente a quell’ Artemide di Efeso madre della fertilità, la stessa dell’Aventino venuta da Nemi il cratere. E vanno le Madri, anche da Oriente a Occidente, come Circe che con il “cerchio” del sole quando il sole ancor le appartiene girando in corrispondenza col cielo dei mitici animali stellari troica nel mare Tirreno il tramonto, nata com’era in Colchide, in quella Eea doge i Vello costò a Medea, sacerdotessa di Ecate, il cuore. EII’era passata per quei Dardanelli ove s’addensano isole, e Samotracia e Lemno, il luogo di Efesto i gran fabbro, il grande architetto, anch’egli legato alla Madre, la Gorgone, densa la testa di quei serpenti da sempre cari alla dea, legati alla ricorrente trasmutazione del tempo, alla vitale, costante rigenerazione di quello. E Lemno che appartiene alle donne e le isole altre e la Frigia e la Lidia kjoghi d’approdo di quel fuggire di popoli dalla Sardegna e non solo, nel Bronzo recente, da sempre ricchi di metalli dalla terra benigna, oltre lo stretto dee colonne d’Ercole, ora sì ritrovata fra la Libia e l’antica Sicilia, a cui Malta anche appartiene, come il fondo del mare dimostra, con i templi millenari alla dea, sono terre d’Asia Minore ove ella si disse anche Astarte. Le dee questa volta hanno anche nero sembiante, insieme al ciclo del tempo lunare, solare, governano quello del Cosmo, il loro colore legato alla pietra caduta dal cielo, ombelico dell’universo. E fu Cibele la dea, del colle Ida di Frigia che con i suoi sacerdoti Cabiri, con Uni, con Feronia, con Toran, con Vertumna, regnò sugli Etruschi e su Roma. Se Madre Matuta, se la Fortuna trovano templi nei siti più antichi di quella che poi sarà Roma, è il siculo Caco e Ceculo anche, di Preneste signore, (fu ucciso dall’Ercole Ariete, “il civilizzatore”) che prepara i luoghi per Roma ove Ops e Rea ancora sono matrice: vuol dire che comunque la Grande Madre vige. E Caco, appunto col triplice capo riporta alla dea, figlio com’è di Vulcano e della Gorgone anch’egli, uccidendolo Ercole annienta e trasferisce il culto dalle Madri a quello dell’egemone Dio e forse dal tempo del cerchio ti segna lo scorrere anche, di quello. Le Fatiche rappresentano dunque un chiaro, drammatico ribaltamento. Perde lo spazio il rapporto col Cosmo. Ma la Madre tornando, invertendo la rotta con le genti che popolano del Tirreno le terre, come ultimo luogo della sua preminenza, riporta il senso di quel rapporto spaziale nel segno dell’acqua nella materia tufacea del grembo vulcano così da attivare cunicoli, cisterne, tombe oltre la vita, che. anche hanno connotazioni proprie allo spazio organico: la forma, la fisionomia son connesse.?Se abbiamo dimenticato, l’emergere dell’energia propria alla materia del grande organismo riporta insieme alle terre il potere rigenerativo dell’acqua connesso alla propria natura. La consapevolezza morfologica produce reciprocamente aderenza ed appartenenza. Ricostituito il gran corpo rigenera il senso del rapporto interrotto...sorride la Madre e dona, evoluzione creatrice, il potere di formare spazi atti al “contemporaneo”, è così che il “dinamico” corre e ritrova “oasi d’incontro” e “grandi fiori” per stare. L’antropologico vero attiva il rapporto e lo spazio appartiene al gran tempo ma pure s’immette con l’artificio nel paesaggio nuovo creato. Elemento essenziale del progetto è la rievocazione di suggestioni emotive nel fruitore. Per ottenere tale risultato, risulta essenziale ricondurre l’architettura in un ‘ambiente’ ove tali suggestioni possano esplicitarsi e cioè uno spazio naturale, un ‘paesaggio’, che in qualche modo suggerisca una architettura basata su quelle strutture primordiali ed essenziali che l’uomo ha imparato a conoscere da sempre. II paesaggio, quindi la natura, divengono ispiratori ed il riconoscimento della ‘facies’ dei luoghi, e delle forze che hanno concorso a crearla (uomo compreso) diventa basilare nella costruzione dell’organismo architettonico che, in questo modo può, strutturandosi e plasmandosi organicamente, incarnare quelle stesse energie costruttrici. Lo studio parte dall’individuazione degli elementi generatori delle dinamiche spaziali e quindi del ‘paesaggio’ dell’area compresa tra i Colli Albani ed il fiume Tevere, lungo l’itinerario individuato dalla colata lavica della Via Appia e lungo la lingua tufacea che, segnata da Via delle Sette Chiese, giunge nell’area alluvionale creata dal sistema idrografico costituito dai due fossi della Caffarella e di Grotta perfetta e dal Tevere. L’intervento proposto si sviluppa lungo il fronte della colata tufacea prospiciente il fiume, all’altezza dell’area denominata ‘Valco S.Paolo’. L’attuale struttura urbana, caratterizzata fortemente dalla presenza della Via? Ostiense, ha suggerito nel corso degli anni uno sviluppo della zona basato sulla ‘longitudinaltà’ del tessuto urbano rispetto al fiume, negando quelle dinamiche ‘trasversali’ che da sempre ne avevano invece interessato ia territorio. La stessa linea ferroviaria-metropolitana Roma-Lido, affiancata in seguito dalla tratta fuori terra della ‘metro b’, che oltre a costituire l’ennesimo intervento a carattere longitudinale, viene a porsi come una nuova e più pesante cesura tra il corso d’acqua ed il colle della Garbatella. La struttura della proposta progettuale cerca quindi, da un lato di ricostituire, per quanto possibile, il rapporto interrotto tra la lingua tufacea ed il margine del Tevere, attraverso la riemersione delle dinamiche geo-morfologiche ed antropiche che per secoli ne hanno strutturato la fisionomia, dall’altro cerca di fornire una visione ‘altra’ della maniera di rapportarsi con il paesaggio urbano, tramite un’architettura fortemente connotata, legata più alle suggestioni ed alle immagini evocate dai luoghi della ‘terra’ quali i sistemi sotterranei delle cave e delle catacombe diffusissime nell’area, che non all’immagine (seppur significate) ‘barochetta’ che i luoghi hanno assunto nel corso dell’ultimo secolo. II processo progettuale si lega quindi fortemente all’operazione di scavo e di riemersione `dal corpo’ della terra di concrezioni e forme vitali legati simbolicamente all’incessante azione delle forze primordiali, quale l’acqua ed il fuoco, che ne hanno consentito la genesi. Nello specifico il primo intervento riguarda la realizzazione di un ‘habitat’ per studenti nella zona dell’attuale ‘Parco Brin’. La morfologia dei luoghi prospicienti il tracciato di Via delle Sette Chiese è caratterizzata, in questo tratto terminale, dalla ‘tagliata’ un incisione che il percorso stesso genera lungo sul crinale della collina nel suo moto di discesa a valle, lasciando emergere per diversi metri il volto tufaceo della rupe. Questa parete mossa nelle sue concavità e convessità suggerisce l’ingresso ad una serie di percorsi sotterranei o cavi (quasi come i cunicoli di accesso alle prospicienti catacombe di Commodilla) che conducono ad un ‘antro’ scavato nel tufo caratterizzato da una sorta di foresta pietrificata sostenente una copertura dall’andamento sinuoso quasi la ‘membrana iridescente’ di una limacciosa e argillosa bolla d’acqua. Questo paesaggio artificializzato viene illuminato dagli squarci che le residenze, strutture dall’aspetto ‘funghiforme’, generano elevandosi alla ricerca di luce e calore attraverso la membrana di copertura. All’esterno un contrafforte come una ‘lingua’ magmatica di colore rosso, affiora tra il verde che cresce rigoglioso tra gli affioramenti rocciosi lungo la scoscesa discesa su via A.Cialdi e lambendo il margine dello scavo si spinge in direzione di P.zza P.Pantero, raccogliendo le terminazioni dei percorsi interni ed andandosi ad avvolgere intorno ad una emergenza artificiale, un tumulo di terra dalla forma tronco¬conica ospitante una cisterna. Dal ‘luogo delle acque’ , in cui si riversano i drenaggi del sistema di raccolta a ‘corona’ collocato nelle piazza circostanti , diviene un cratere-bacino i cui bordi si trasformano in luoghi per stare su cui si affacciano le ‘absidi di sud-est’ ospitanti laboratori per attività artigianali ad uso didattico. Dalla cisterna un canale si snoda lungo il fianco dell’emergenza conducendo le acque verso un ‘pozzo’ verticale dove una cascata accompagna scrosciando un percorso avvolgente che spingendosi in profondità nel sottosuolo permette ( dopo avere ‘sottopassato’ la linea ferroviaria ) di riemergere in una sorta di ‘sorgente pedemontana’ nei pressi del ponte di via Rocco alle spalle della Facoltà di giurisprudenza. Il regime del sistema idraulico viene stabilizzato attraverso due cisterne ipogee illuminate dall’alto e poste a quote diverse lungo il tragitto sotterraneo. Un secondo percorso, segnato da emergenze ceramiche e spalle verdi si protrae dalla ‘sorgiva artificiale’ spingendosi fino ali’ Ostiense dove un nuovo scenario, costituito dal sistema di `allagamenti’ creati attraverso le acque provenienti dal Tevere, rievoca i paesaggi lacustri causati dalle periodiche esondazioni del fiume stesso. Più a nord, in luogo dell’attuale stazione metro di Garbatella, viene proposta la ‘ricostruzione’ artificiale del declivio naturale della collina, in base a come doveva ancora apparire ai primi del secolo, prima che la stessa venisse mutilata dal passaggio della linea ferroviaria. La sommità dell’emergenza artificiale viene ad essere occupata dallo scavo-cratere di una struttura cilindrica (ispirata al mitico Herodium, palazzo-fortezza di Erode il Grande), parzialmente interrata, ed affiancata da quattro torri-absidi disposte secondo i punti cardinali. Tale struttura diviene luogo di scambio ed incontro delle diverse dinamiche, anche celesti, che ivi convergono. L’asse est-ovest viene ad essere fissato su di un lato della ‘torre est’ (un sorta di moderno westwerk inverso), elemento dal forte valore verticale, ospitante un serbatoio di raccolta delle acque piovane (quasi una torre piezometrica) e una zona di ristoro, nucleo d’ingresso allo spazio interno, e sull’altro da una seconda torre di altezza ridotta ospitante le strutture del nodo di collegamento verticale a servizio della fermata-metro. L’asse nord-sud viene fissato da due ‘absidi climatiche’, quella nord orientata verso sud raccoglie il calore del sole nei mesi invernali, mentre quella sud, attestata su di un ninfeo sotterraneo fornisce un luogo di refrigerio nei mesi estivi. I quattro elementi, vengono legati dal tamburo cilindrico di corten.
Nuova oasi, come furono sempre le oasi, luogo di incontro, di scambio, di approviggionamento di energie e di servizi. Luogo d’acque e di sosta come diceva la nominazione stessa di matrice greca ma egiziana d’origine. Il paesaggio coinvolto è quello di frescura e convogliamenti d’acque. è questa che si propone una effettiva novella Oasi Urbana.