Emersioni spaziali dal piede vulcanico al fiume: un’antica via di transumanza come sito


2001/2002


Sara Campagna

 

Il sito è quello, estesamente, dove il Vulcano Albano s’espresse, da quando si aprì la sua grande bocca primaria, ed è quindi lontano il tempo, seicentomila anni certo, in più riprese. Furono le sue, eruzioni piroclastiche intense, di tufi, esplosive manifestazioni ignimbritiche messe a posto in cicli di prima fase e poi di altre più tarde. è il sovrapporsi di queste a formare la geologica morfologia della lingua di terre ove cammina quella via, arcaicamente segnata, che ne rappresenta il crinale, via di transumanza, un tempo, e poi di religiose processioni settecentesche, la via delle Sette Chiese, appunto.
La rupe tufacea che si spinge al fiume Tevere, nel ‘900 nominata con definizione popolare della Garbatella, formata principalmente dal terzo ciclo d’eruzione del vulcano Artemisio, ha alle sue spalle, magnifica, la colata basaltica, emessa dal vulcano sempre, ma in seconda fase, quella più tarda di 260000 anni fa, venuta dal cono sorto al centro dell’Artemisio, quello detto della Faete.
La rupe è quella poi, ove se diversamente si fosse diretto il volo di uccelli e l’augure avesse vaticinato, sarebbe sorta Remuria, la città di Remo, l’altro gemello; e non quella dell’Aventino ove vuole la tradizione più consolidata. Sarebbe stata la città fondata da quello dei due ove emergeva la ferinità più ancestrale e profonda, nutrita, pur figlio di un dio, Marte, e d’una fanciulla albana, dai lupi del Lupercale, alle pendici di una delle Isole Divine, il Cermalo-Palatino ove si compiono i destini del mito dello origini. Da Pico il picchio, re degli aborigeni venuti dal Reatino, scesi lungo il Tevere, poi, unito con Circe, la madre figlia del Caucaso all’Est, a Fauno, il lupo, al latino primo sovrano dei Prisci Lastini, eponimo di quel Latino più tardo Re d’Albalonga, città d’origine sita sull’orlo di una delle ultime bocche-cratere che sarà lago, quello d’Albano. La ferinità si diceva, propria alle selve profonde, ai fuochi ancestrali, non alle arboricolture o alle programmate accensioni. Non poteva prevalere Remo, emblema di indistinzione tra natura e norma, violenza e diritto, come qualcuno ha detto, ma l’altro, il lupo che organizza il branco.
è il luogo ove si incontrano il fuoco e la terra, anzi la terra è quella del fuoco. L’abbraccio è perenne. Ofione il drago ancestrale, comunque ctonio, abbraccia indissolubilmente la Madre. Fuoco e terra, connubio infinito. Il drago è quello delle origini delle ancestrali cosmogonie archetipe, del principio. è la Terra, poi, quella che esprime la complessità degli astri, che dice l’infinito, il principio generatore dell’universo, l’àpeiron di Anassimandro e dei Presocratici. Ma non è un ente astratto, ma entità corporea pluridinamica. è la terra come materia unita al fuoco, causa efficiente. Ce lo dice l’etimologia della parola, l’accadico epèru/polvere, terra. L’antico sapere del cosmo aveva intuito l’universo infinito, cielo e terra, astri e terra, come prodotti omogenei. La Terra come matrice nei suoi elementi infiniti.
è in questo sito, quello di Roma, confluenza di antichi vulcani e di acque a loro direttamente connesse, che si conformarono figure morflogiche complesse, articolate dalla forza plasmante delle acque stesse.
La via antica è poi quella che trasversalmente collega non solo ma connette, un fascio di linee dinamiche tutte di antica origine, perchè proprie alle terre, scorrendo morfologicamente inserite.
Il Tevere, prima di tutto, la via d’acqua che scorrendo connette verso sud al Mare Tirreno. E qui, presso la vetusta Basilica di San Paolo, quella forse sita nel luogo del Suo antico sepolcro, insieme a molti altri del sepolcreto ostiense a cielo aperto, era non solo possibile, proprio ai piedi della collina di tufo piena di autoctona vegetazione, l’espansione del fiume nei momenti di piena, ma anche l’approdo, su riva sinistra, di merci preziose anche egiziane e la partenza della pozzolana locale. Quindi la nostra via che si sarebbe dovuta, seguendo il crinale, fermare in collina, fu fatta scendere a connettere alla bassa pianura, al fiume e alla via che ivi scorre, incidendo profondamente i tufi. Primieramente la collina aveva quella via solo sulla cresta poiché così si svolgeva al riparo dagli impaludamenti e dalle forze del fiume. Tali impaludamenti erano anche formati da quei piccoli affluenti che scorrevano, oggi annullati ai piedi della collina, a nord l’Almone e a sud quello di Grotta Perfetta.
La via delle Sette Chiese, una volta condotta a valle, collega la via Ostiense, che dalle antiche mura di Roma